mercoledì 28 novembre 2012

Produttività: Camusso, non si chiuda quell'accordo

28/11/2012 Condividi su:  condividi su Facebook condividi su Twitter
Anticipiamo l'editoriale di Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, che apparirà sul prossimo numero del settimanale della confederazione, "Rassegna sindacale':
L'accordo sulla produttività sottoscritto dalle associazioni datoriali, da CISL, UIL, UGL e assunto dal governo è sbagliato non solo nei contenuti ma anche nella filosofia di fondo che lo orienta. Il documento si muove in continuità con le scelte che ispirarono  l'accordo  del  2009;  con l'idea, cioè, che per essere più competitivi e più produttivi l'unica strada sia quella di comprimere i diritti e di agire sui costi. Oggi come allora l'intesa sottoscritta sottende la convinzione che la produttività  sia  determinata  pressoché esclusivamente dal lavoro, e non dall'insieme dei fattori che concorrono alla produzione. Il risultato è un documento monco che non pone nessun rimedio a quasi due decenni di mancati investimenti da parte delle aziende. E  non  pone  nessun  rimedio  neanche allo spostamento dei profitti verso la rendita,  alla  progressiva  diminuzione  della dimensione di impresa, alla mancata riforma  della  Pubblica  amministrazione, all'assenza di una programmazione infrastrutturale.  Sono  in  gran  parte  nodi  che non vengono affrontati per esplicita scelta di un governo che ha deciso di agire quasi esclusivamente sul lato dell'offerta e che considera il sostegno della domanda (aggregata e per consumi) contrastante con la sua politica. È  un  approccio  con  non  consente  di sperimentare  un'idea  innovativa  di  contrattazione,  non  mobilita  investimenti, non incentiva alcun tipo di innovazione, sia questa di prodotto o di processo, non favorisce una crescita delle retribuzioni. Fatta salva una parentesi durante i governi del centrodestra che, mentre la produzione  crollava,  dirottarono  gran  parte delle  risorse  di  cui  disponevano  agli straordinari, gli incentivi alla produttività sono operanti fin dal 2007. I risultati sia dal punto di vista del numero degli accordi e sottoscritti e dei lavoratori coinvolti, che da quello dell'effettiva crescita della competitività paiono tuttavia essere stati assai deludenti. C'è dunque da chiedersi per quale motivo si sia scelto di imboccare  una  strada  simile,  riducendo  la certezza  del  potere  d'acquisto  a  molti, per  trasferire  a  pochi  quelle  risorse, nell'idea che un eventuale vantaggio retributivo derivi non da una maggiore erogazione di salario, ma dalla defiscalizzazione.
Qui sta la prima ragione di non condivisione  di  un'intesa  che  assume  i  tratti  di un'ulteriore  scelta  recessiva.  L'Italia  di tutto ha bisogno tranne che di una ulteriore  riduzione  del  potere  d'acquisto  delle retribuzioni che si aggiungerebbe al blocco contrattuale nel pubblico impiego che già oggi contribuisce non poco alla frenata  dei  consumi  e  alla  stagnazione  della produzione.    A  chi  sostiene  che  l'effetto  non  sarà quello di una riduzione del monte salari, vanno riproposte le domande a cui il governo non ha ancora dato risposta: se si fanno accordi «di produttività» per 16 milioni di lavoratori privati con quali risorse si defiscalizzano? E se le risorse sono quelle definite dalle leggi di stabilità con quali criteri si definisce chi ne può usufruire e chi ne resta escluso? Ancora, quale contrattazione si immagina possa svilupparsi se questa dipende dalle risorse disponibili e dal loro effettivo stanziamento? Infine, non c'è forse il rischio di incentivare rilevanti forme di elusione spostando fittiziamente  parte  delle  retribuzioni  sulla quota defiscalizzata del salario? Il governo ha rinviato ai decreti attuativi i chiarimenti su questi interrogativi e la definizione delle regole necessarie a rendere i provvedimenti operativi, rifiutandosi al contempo di prendere in esame la detassazione delle tredicesime come misura per incentivare la domanda, misura che consentirebbe di prestare attenzione ai bassi redditi, a quelli tagliati dalle lunghe fermate produttive e dagli ammortizzatori e provando così ad intervenire su una parte del lavoro precario ancora una volta escluso dalle politiche di sostegno al reddito.

Non essendo di una manovra strutturale, la defiscalizzazione potrebbe utilizzare  i  proventi  della  lotta  all'evasione  e all'elusione fiscale, dando così al provvedimento  il  carattere  dell'equità  e  della giustizia, dando così coerenza alle tante affermazioni del governo, rimaste sino ad oggi lettera morta, e con i tanti ordini del giorno del Parlamento che si muovevano nella stessa direzione. Proprio perché in continuità con accordi  separati  precedenti  e,  in  prospettiva, schema per la contrattazione, l'intesa ha la  caratteristica  di  stabilire  procedure per i contratti o gli accordi aziendali. Tutto andrà gestito nella futura negoziazione e ovviamente non ci sottrarremo a nessun confronto, ma lavoreremo per ricondurre  ad  una  condizione  utile  le  norme contrattuali che si determineranno, nella logica  di  trovare  forme  incentivanti  la produttività ed eliminare le dispersioni e le inefficienze di una distribuzione di risorse  a  pioggia  sottratte  ai  contratti.

In questa  prospettiva  il  tema  della  rappresentanza,  della  rappresentatività  e  della democrazia  diventa  fondamentale.  Chi rappresenta chi, in nome di chi agisce, come si decide e come ci si assumono le responsabilità sono le premesse necessarie alla validità e all'esigibilità degli accordi. Viviamo una stagione in cui si critica molto l'autoreferenzialità e nessuno può sottrarsi al tema. Le ricette in campo sono molte ma tra tutte, l'unica non praticabile è che la rappresentatività derivi da un muto riconoscimento delle controparti o del governo. Anche per questo non avere affrontato il tema è l'altra grande ragione che ci ha portato a non condividere l'intesa. Per un sindacato un accordo è la massima espressione della sua funzione, è l'esercizio della sua responsabilità. Per questo, perché per la Cgil gli accordi fatti si onorano, se non condividiamo il merito lo dichiariamo e verifichiamo le nostre scelte con chi rappresentiamo. Il metodo della verifica delle decisioni non è più rinviabile, pena la riduzione della contrattazione e la scelta di inseguire opportunisticamente la fase politica del momento. Ma di questo, credo, nessuno sente il bisogno. Abbiamo sempre detto che l'accordo del 28 giugno va nella giusta direzione, ma bisogna applicarlo. Bisogna determinare regole e modalità attuative, estenderlo a tutti i soggetti contrattuali. La sua applicazione è la strada obbligata che dobbiamo percorrere. Lo dobbiamo fare anche per dare concretezza al nostro agire, per evitare che ci sia chi, strumentalmente, possa dire che un'intesa vale un'altra, tanto sarà sempre possibile farne di nuove perché quelle sottoscritte non hanno valore. Abbiamo cercato di raggiungere questo risultato per via negoziale, ma tutte le volte ci siamo scontrati con una mancanza di volontà che è diventata via via sospetta, come le vicende Fiat sono lì a dimostrare. Se avessimo compiuto scelte chiare avremmo non solo dato soluzione a una problema essenziale per le relazioni sindacali, ma salvaguardato anche l'intervento legislativo in materia da possibili distorsioni. Sono questi i punti che più di altri non abbiamo condiviso nel documento presentato e assunto dal governo. Abbiamo detto e pensiamo che questa discussione sia stata un'occasione persa per dare equità alle misure economiche, imprimere una forte azione antirecessiva, risolvere le annose ed essenziali questioni che coinvolgono la nostra democrazia, dare coesione e unità al Paese.

È sfumata una chance importante per ridare slancio e senso agli atti negoziali. È indubbio che la contrattazione nazionale e quella di secondo livello hanno assunto sempre di più una caratteristica difensiva: il sindacato nella tutela del ruolo e della funzione del contratto; le imprese, in una logica di salvaguardia degli spazi di deroga, per proseguire la strada della diminuzione dei costi. Il risultato è una progressiva diminuzione delle capacità innovative del sistema delle relazioni industriali, con un grave danno alla capacità di regolare e per questa via di aumentare, rendere efficace ed efficiente, l'utilizzo dei fattori. Allo stesso tempo il ritirarsi nella difesa dei propri interessi immediati ha prodotto un'idea non inclusiva della negoziazione, mentre parte della non crescita di produttività deriva dalla progressiva frantumazione del mercato del lavoro, in un'idea di forme di assunzioni a breve senza investimento sulla qualità del lavoro, della formazione, della innovazione e della creatività. Un accordo sbagliato non è di per sé un dramma. Si può correggere se si ha voglia e coraggio di confrontarsi sul merito e cercare le strade giuste, quelle che non sacrificano le condizioni di lavoro e del salario, ma facciano fare a tutti un salto di qualità nell'affrontare la crisi anche come occasione per disegnare il futuro. Quelle che non si è voluto affrontare nel corso di questo negoziato.

Susanna Camusso


fonte: www.cgil.it
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giovedì 22 novembre 2012

Camusso: sulla produttività s'è persa un'occasione


"L'intesa è coerente con la politica del Governo che scarica sui lavoratori i costi e le scelte per uscire dalla crisi. Si è persa un'occasione''. Il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, ha commentato così l'accordo sulla produttività durante una conferenza stampa convocata in corso d'Italia subito dopo l'incontro a palazzo Chigi
» ASCOLTA: Produttività, la CGIL la pensa così
21/11/2012 Condividi su:  condividi su Facebook condividi su Twitter
"Se dovessi definire il clima di questa sera la parola che mi viene in mente è imbarazzo". Lo ha detto il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, a proposito dell'incontro sulla produttività a Palazzo Chigi. "Credo che fosse evidente a tutti – ha spiegato Camusso - che si stava consumando una scelta che non determina ne' risultati positivi ne' spinte propulsive. Abbiamo sentito da più ministri appelli a una soluzione unitaria" che "hanno più il segno di un imbarazzo che non di una volontà effettiva di provare a costruire soluzioni unitarie".
''Le soluzioni unitarie si costruiscono, non si aderisce a posteriori, quando il tentativo numerose volte fatto di trovare una soluzione è stato respinto'', ha precisato il Segretario Generale della CGIL. L'accordo così come è stato costruito produrrà soprattutto un abbassamento dei salari, che poi è "il punto più critico” dell'accordo stesso.
Riferendosi al Governo e in particolare al Presidente del Consiglio, Susanna Camusso ha detto che Monti è legittimato a sperare quel che vuole", ma il tema è "se si vuole decidere in questo ultimissimo scorcio della legislatura di provare a dare risposte al lavoro o se si continua a pensare che risposte non ce ne sono". "Le rotture non si risolvono con gli auspici - ha aggiunto il Segretario Generale - ma con le regole della democrazia e della rappresentanza. Sul tema degli auspici potremmo continuare all'infinito: tutto il Paese spera in una politica che non continui ad alimentare la recessione". E invece, di nuovo, l'accordo sulla produttività aumenta la recessione e scarica i costi sulla parte più debole del Paese.

Riproponiamo qui di seguito il documento del Segretario Generale della CGIL fatto circolare nei giorni scorsi prima dell'incontro con il Governo


Il testo che le controparti hanno sottoposto al giudizio e alla firma delle organizzazioni sindacali dal titolo "linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia" contiene elementi non condivisibili.

La CGIL considera non esaurito il confronto, in particolare sul salario, sulla democrazia e sulle normative contrattuali. Il lungo confronto ha determinato, rispetto alle prime stesure, e grazie alla determinazione della CGIL, anche elementi d’avanzamento nella difesa della condizione delle persone e, proprio per questo, il negoziato merita la prosecuzione.
Il giudizio della CGIL resta negativo su alcune parti sostanziali del testo proposto, ritenendo che la scelta del Governo e delle controparti di considerare le condizioni di lavoro l'unica variabile della produttività su cui agire, ha fin dall'inizio segnato negativamente il negoziato, rendendo così la produttività da scelta strategica per lo sviluppo del Paese a riduzione del reddito dei lavoratori e delle lavoratrici.
Nel merito del testo.
La CGIL continua a ritenere che il CCNL debba avere la funzione di tutelare il potere d'acquisto delle retribuzioni dell'insieme dei lavoratori e delle lavoratrici di ogni singolo settore, incrementando i minimi tabellari che determinano anche le relative incidenze, mentre il secondo livello (che attualmente riguarda meno del 30% del lavoro dipendente) deve aggiungere risorse legate alla produttività nell'impresa. Per questo abbiamo proposto una formulazione diversa del testo per rendere esplicita la separazione tra i due livelli:
- la garanzia del potere d'acquisto da attuarsi nei rinnovi contrattuali;
- l'introduzione di un altro elemento distinto, che scatterebbe laddove non vi sia la contrattazione aziendale.
Invece la soluzione presente nel testo considera l'indicatore IPCA -già non esaustivo del recupero del potere d'acquisto- indicatore onnicomprensivo del primo e secondo livello di contrattazione. In questo modo si andrebbe alla differenziazione dei minimi salariali e alla riduzione della protezione del potere d'acquisto delle retribuzioni.
Questa scelta ha un ulteriore effetto recessivo, visto il già presente impoverimento delle retribuzioni e relative contrazioni dei consumi, e perde l'effetto di incentivazione della produttività a fronte di fattori organizzativi e di investimenti che le rendessero disponibili.
La scelta operata dopo l'accordo separato del 2009 con la stagione contrattuale successiva ha recuperato, in parte, una stagione unitaria e, in quei casi, ha determinato nei rinnovi contrattuali, la tutela del potere d'acquisto e l'incentivazione del secondo livello. Nel momento in cui si vuole affrontare un nuovo intervento sul modello contrattuale, non solo è sbagliato non costruirlo unitariamente, ma tutta l'attenzione avrebbe dovuto porsi rispetto alle categorie più deboli, quali ad esempio quelle che operano in regime di appalti, settori nei quali diminuiscono le retribuzioni e si disdicono gli accordi aziendali di secondo livello.
Per questo fin dall'inizio del confronto, per evitare anche gli errori del 2009, abbiamo posto, a premessa del negoziato, il tema della democrazia e della rappresentanza in termini applicativi del 28 giugno 2011 con Confindustria ed estensivi per le altre Associazioni d'impresa.
A distanza di più di un anno della sottoscrizione con Confindustria questa era un'occasione utile per determinare un avanzamento nella sua reale applicazione attraverso l'esplicitazione delle modalità con cui certificare la misurazione del numero degli iscritti ed iscritte ad ogni singola organizzazione sindacale (tramite convenzione con l'INPS) e la modifica nelle modalità di elezione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie che deve avvenire su base esclusivamente proporzionale ai voti raccolti da ogni organizzazione, al fine di poter determinare -sulla base di questi due elementi- la reale rappresentatività di ogni organizzazione. Tale misurazione ha anche lo scopo - anch'esso previsto dal 28/6 ma non ripreso nel testo attuale – di determinare la titolarità di ogni organizzazione a stare ai tavoli di trattativa contrattuale, laddove un'organizzazione rappresenti più del 5% del totale. Ed è su questa base che la CGIL ha posto il tema di superare il "vulnus democratico" per quanto riguarda il tavolo del negoziato contrattuale dei meccanici. È evidente che la possibilità di partecipare al tavolo della FIOM-CGIL non determina di per sé la possibilità di concludere unitariamente il rinnovo contrattuale, ma ripristina il diritto- dovere di un'organizzazione sindacale di rappresentare tutti e tutte coloro che, tramite iscrizione o voto, l'hanno delegata.
Così come nel 2011 lo spostamento del peso della contrattazione sul secondo livello ha comportato l'introduzione e la definizione di procedure democratiche, anche al fine dell'esigibilità degli accordi, ora che si vuole il ridisegno del modello contrattuale con materie proprie del primo e del secondo livello, è quanto mai necessario definire la cornice di regole democratiche per l'insieme dei lavoratori e delle lavoratrici.
Infine il punto 7 del testo, seppur migliorato rispetto alle iniziali richieste delle controparti, determina la forte preoccupazione che vi sia la volontà di intervenire peggiorando le condizioni dei lavoratori. Un esempio per tutti riguarda la materia del demansionamento, laddove, anche a fronte di modifiche legislative in materia di età pensionabile, si ritiene che nella contrattazione e/o con una legislazione di sostegno si possa intervenire per una riduzione della qualifica professionale, con relativa riduzione della retribuzione. Sostanzialmente da una parte si plaude alla riforma delle pensioni come necessaria per tenere in equilibrio i conti pubblici, dall'altra sulle stesse persone si produce un ulteriore danno non solo nella retribuzione ma anche nel riconoscimento della professionalità.
Sempre nello stesso punto si fa implicito riferimento alla possibilità di modificare l'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che vieta il controllo a distanza della prestazione lavorativa, in ragione delle nuove tecnologie, che già per lo Statuto è materia propria della contrattazione aziendale.
In materia di bilateralità, pur avendo accolto una richiesta avanzata dalla CGIL che prevede che l'eventuale detassazione del sistema di welfare parta dalla previdenza complementare, in quanto forma che raccoglie una platea più ampia di lavoratori e lavoratrici, resta sostanzialmente invariato il capitolo, laddove si prevede la possibile detassazione anche sui sistemi di welfare aziendale oltre che nazionale, prevedendo per questa via una ulteriore divaricazione tra coloro che godono di un sistema di protezione e coloro che ne sono privi, oltre che rischiare di sancire il principio che prestazioni pubbliche, quali la sanità e il welfare, possano trovare forme complementari a minor costo solo per una parte di popolazione, o sottraendo risorse pubbliche a beneficio di tutti e tutte. Inoltre è del tutto discutibile che la strada scelta dell'incentivazione dei premi di produttività, attraverso la defiscalizzazione, possa essere riprodotta per qualunque materia contrattuale.
Sulla base di queste brevi considerazioni la CGIL ha provato nella giornata di venerdì scorso ad evidenziare alle associazioni imprenditoriali le ragioni di merito del dissenso, auspicando di poter proseguire il confronto ed evitando così di far precipitare la situazione in un accordo sindacale separato, che continuiamo anche oggi a ritenere non sia positivo per nessuno. La decisione di inviare un testo conclusivo del negoziato riteniamo sia un errore e per quel che riguarda la CGIL si ribadisce la volontà di proseguire tenacemente la ricerca e si sottolinea che tutte le materie lì indicate debbono tradursi in accordi nei singoli settori delle categorie.
Ulteriore ragione per determinare regole democratiche, perché tutto ciò non infici i rinnovi contrattuali aperti e perché non si determini, in nome e per conto del Governo, una nuova stagione di divisione.


fonte: www.cgil.it

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mercoledì 7 novembre 2012

SCIOPERO GENERALE DI 4 ORE MERCOLEDI 14 NOVEMBRE


(clicca sull'immagine per ingrandirla)

Sciopero Generale

“Per il Lavoro e la solidarietà – NO all’austerità”


14 novembre 2012
(ultime 4 ore di ogni turno nell’arco delle 24 ore)

La CGIL ha proclamato lo sciopero generale di 4 ore insieme alla confederazione europea dei sindacati.
I tagli a salari e protezione sociale rappresentano attacchi al modello sociale europeo ed aggravano disuguaglianza ed ingiustizie sociali con conseguente stagnazione economica che determina una recessione con blocco della crescita ed aumento esponenziale della disoccupazione.
Per queste ragioni in ogni capoluogo di provincia si svolgeranno manifestazioni per chiedere un cambio di rotta.

A LATINA

SI SVOLGERA’ UNA MANIFESTAZIONE/PRESIDIO

DALLE ORE 10.00 ALLE ORE 12.00

SOTTO LA PREFETTURA DI LATINA
PIAZZA DELLA LIBERTA’.


Richiesta di incontro urgente

La R.S.U. ha consegnato in data odierna una richiesta di incontro urgente per chiarire con la Direzione Aziendale alcune anomalie che ci sono state segnalate da molti lavoratori sui cedolini paga di Ottobre relativamente alle prestazioni straordinarie effettuate nei giorni di sabato e domenica nel mese di Settembre. Vogliamo evitare che eventuali errori siano commessi anche nel prossimo cedolino ed esigere quanto prima  che vengano sanate possibili mancanze.
Inoltre si invita la D.A. a ripristinare la prassi (prevista peraltro sia dalla legislazione vigente che dal CCNL) di comunicare alla Rappresentanza Sindacale la situazione dei contratti a tempo determinato: nuove assunzioni, cessazioni, trasformazioni, ecc. Negli ultimi giorni vediamo nei reparti "gente nuova" oppure non vediamo più "gente vecchia" oppure ancora veniamo a sapere di assunzioni a tempo indeterminato; quest'ultima tipologia ci fa ben sperare in una inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni ma sarebbe opportuno che la R.S.U. ne fosse messa a conoscenza per tempo...


(clicca sull'immagine per ingrandirla)

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venerdì 2 novembre 2012

CONTRATTO CHIMICI: LA FILCTEM-CGIL SCIOGLIE LA RISERVA MA OCCORRE TROVARE SOLUZIONE AI " PUNTI DI CRITICITA'"


Comunicato stampa

CONTRATTO CHIMICI:
LA FILCTEM-CGIL SCIOGLIE LA RISERVA
Ma avverte: i “punti di criticità'”
devono trovare soluzione al tavolo

“Sul contratto del settore chimico-farmaceutico, la Filctem-Cgil scioglie la riserva, soprattutto per la responsabilità di tenere vivo un sistema positivo di relazioni industriali che rischia di implodere se non si giungerà ad una comune valutazione”:  è il testo della lettera che proprio oggi il segretario generale della Filctem-Cgil, Emilio Miceli, ha inviato alle associazioni imprenditoriali di Confindustria, Federchimica e Farmindustria e, per conoscenza, alle organizzazioni sindacali Femca-Cisl e Uilcem-Uil.

Ma – si legge nella lettera -  la Filctem-Cgil è convinta che si debbano trovare le soluzioni ai “punti di criticità” sollevati, proprio nella fase dei “rimandi” e del  completamento dei testi contrattuali.

Prima fra tutti, una diversa definizione per l'assunzione di giovani al di fuori del contratto di apprendistato che – se mantenuta – azzererebbe ogni e qualsiasi copertura del contratto sulla prestazione lavorativa e sul salario, a cominciare dai contratti a tempo determinato.

Obiezione questa – fa rilevare la Filctem – che, unitamente all'adeguamento del contratto di apprendistato, alla “ricognizione” della legge 92/2012, al collegato lavoro del 2010, rappresentano temi sensibili e di grande rilevanza contrattuale, sui quali pesano forti divergenze nella valutazione delle parti.  E ancora – prosegue la Filctem – l'approntamento di linee-guida sulla qualità delle risorse umane vista dal versante della flessibilità, agli orari, alle prestazioni lavorative, all'organizzazione del lavoro, al cosiddetto “progetto-ponte”.

Le stesse norme riguardanti le “deroghe” al contratto – aggiunge la Filctem nella lettera – non corrispondono al dettato dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011.

Tutti questi temi ancora aperti – fa rilevare la Filctem – danno il segno di un processo di definizione del contratto ancora sostanzialmente in itinere, e quindi una valutazione più compiuta sul contratto chimico – come è prassi nel sistema di relazioni industriali del settore – è dunque legata al completamento di questo processo.

Roma, 31 ottobre 2012